Da due anni a questa parte si parla di rinascita del cinema
italiano. Smetto quando voglio, Jeeg
Robot, Veloce come il vento, Brutti e cattivi. Diciamo che tra commedia e
film di genere qualche titolo particolare e degno di nota si è fatto vedere
nelle sale ultimamente. Alcuni continuano a spopolare nell’on demand.
Poi c’è Ride. Ride nasce dalle penne di
Fabio&Fabio (autori e registi di Mine con Armie Hammer) e Marco Sani, che
poi hanno seguito la regia di Jacopo Rondinelli in modo pressochè maniacale, dato
che tutto quello che ci sta intorno è un’enorme macchina dei record.
20 e più punti macchina (di cui la maggior parte GoPro, che non ingombrano, ma che poi devono essere sincronizzate in montaggio) in uno spazio aperto e vario come le Alpi del Trentino che è servito come set per simulare Black Babylon, un reality show in cui dieci bikers gareggiano per vincere una cospicua somma di denaro.
E come dice la tagline del film: Ride or Die. Corri o muori. Insomma non proprio il giro d’Italia.
20 e più punti macchina (di cui la maggior parte GoPro, che non ingombrano, ma che poi devono essere sincronizzate in montaggio) in uno spazio aperto e vario come le Alpi del Trentino che è servito come set per simulare Black Babylon, un reality show in cui dieci bikers gareggiano per vincere una cospicua somma di denaro.
E come dice la tagline del film: Ride or Die. Corri o muori. Insomma non proprio il giro d’Italia.
Max e Kyle, i due protagonisti, sono due ragazzi oltre la
trentina che non hanno ancora accettato pienamente l’età adulta, nascondendola
dietro alle visualizzazioni dei loro video online in cui sfidano i limiti dell’adrenalina
con pazzie su due ruote e scalate ai palazzi più alti (selfie a seguire).
Max ha debiti a causa del gioco d’azzardo, mentre Kyle non riesce a dare stabilità economica alla moglie e alla figlia piccola. Contro la loro volontà vengono catapultati nel mezzo di Black Babylon ed il resto è spoiler.
Il cuore di Ride sta nell’essere un pentolone pieno di sagge citazioni ibride tra cinema e videogioco e di essere quasi un marchio in via di sviluppo: infatti la campagna marketing è iniziata già dallo scorso NapoliCon ed è sfociata in una serie di attività fittizie (promozione della bevanda presente del film, creazione di una gara di downhill simile a quella del film) che apparentemente erano scollegate da ogni cosa.
Max ha debiti a causa del gioco d’azzardo, mentre Kyle non riesce a dare stabilità economica alla moglie e alla figlia piccola. Contro la loro volontà vengono catapultati nel mezzo di Black Babylon ed il resto è spoiler.
Il cuore di Ride sta nell’essere un pentolone pieno di sagge citazioni ibride tra cinema e videogioco e di essere quasi un marchio in via di sviluppo: infatti la campagna marketing è iniziata già dallo scorso NapoliCon ed è sfociata in una serie di attività fittizie (promozione della bevanda presente del film, creazione di una gara di downhill simile a quella del film) che apparentemente erano scollegate da ogni cosa.
Abbandonando il grande progetto per un attimo, andiamo ad
analizzare in breve la pellicola: quando si dice che un film si scrive tre
volte (sceneggiatura, regia, montaggio) Ride
è proprio un caso limite di questo paradigma. Scrivere una storia che appoggia
sul mistero e sulla sopravvivenza, e darle vita con una quantità record di
camere accese in contemporanea è pressoché un mezzo miracolo. Il miracolo si
completa quando gli anni luce di girato che porti in sala montaggio cominciano
a prendere forma, ritmo, colore, narrazione.
Strutturato come un videogioco, quindi in Livelli, la storia segue anche i canonici tre atti che grazie ad un montaggio ferrato e che non perde mai un accento o una svolta. Anche visivamente è un videogioco: la grafica in sovrimpressione, la quantità di informazioni sulla gara in continuo movimento e gli stacchi che permettono molteplici punti di vista spostano i personaggi in una natura digitale.
Strutturato come un videogioco, quindi in Livelli, la storia segue anche i canonici tre atti che grazie ad un montaggio ferrato e che non perde mai un accento o una svolta. Anche visivamente è un videogioco: la grafica in sovrimpressione, la quantità di informazioni sulla gara in continuo movimento e gli stacchi che permettono molteplici punti di vista spostano i personaggi in una natura digitale.
In una lunga prospettiva, Ride potrebbe essere una sorta di piccolo Star Wars italiano.
Mi spiego meglio: tutto il merchandising e la transmedialità (non è una parolaccia, giuro) che la Lucas (e ora la Disney) hanno fatto dagli anni 70, potrebbero essere la scia che quest’idea - Ride prima di essere un film è una grande idea! -seguirà nei prossimi anni. Sarebbe un’ottima sveglia per l’economia del cinema del nostro paese, che non ha ancora nulla di veramente esportabile a livello del più recente La Casa di Carta prodotta da Netflix Spagna.
Mi spiego meglio: tutto il merchandising e la transmedialità (non è una parolaccia, giuro) che la Lucas (e ora la Disney) hanno fatto dagli anni 70, potrebbero essere la scia che quest’idea - Ride prima di essere un film è una grande idea! -seguirà nei prossimi anni. Sarebbe un’ottima sveglia per l’economia del cinema del nostro paese, che non ha ancora nulla di veramente esportabile a livello del più recente La Casa di Carta prodotta da Netflix Spagna.
Da studente di cinema, la cosa non fa che gasarmi e
ispirarmi. Vedere nuovi orizzonti del cinema italiano mi fa ben pensare che non
dovrò passare una parte della gavetta che mi aspetta dietro ai fogli delle
fiction buoniste e generaliste che passano in prima serata (con il dovuto
rispetto per chi le produce, non sono il mio obiettivo), ma che esiste anche uno
squarcio di produzioni coraggiose che hanno il fiuto e la curiosità di
investire in prodotti come questo.
Anche se, non dimentichiamocelo, ci vuole una grande storia.
Ride ha una grande storia, che troverà altri mille modi per venire raccontata più a fondo.
Ride ha una grande storia, che troverà altri mille modi per venire raccontata più a fondo.
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